Se l'editore continua a basare la sua essenza sulle
competenze di stampa e distribuzione di libri fisici allora sì, il self-publishing (ma anche l'ebook, in generale) sarà il suo peggior nemico. Da questo punto di vista dovremmo però essere tranquilli: tutti gli editori che conosco giurano che per loro no, non è così, e che l'attività editoriale è tutt'altra cosa. Bene, molto bene. Fissiamo così un primo punto fermo:
l'editore non può basare il suo futuro, ai tempi della rete, su stampa e distribuzione fisica dei prodotti, due aspetti che sono destinati a ridimensionarsi radicalmente e rapidamente.
Alcuni editori, a parlargli di self-publishing, se ne difendono giocando la carta delle loro
competenze di marketing, di promozione, commerciali: nessuno scrittore, sostengono, riuscirebbe ad affermarsi su grande scala senza il know how e gli investimenti di marketing di un vero editore.
Il self publishing può andare bene per scrittori già affermati, dicono gli editori, quasi a rimproverare quel po' di scrittori famosi che approfittando della loro notorietà hanno iniziato a pubblicarsi da soli per aumentare i loro guadagni. Di certo un autore sconosciuto, senza il lavoro di un editore, è destinato a rimanere tale. Questi editori sostengono che il lavoro specifico degli editori del futuro consiste nella capacità di promuovere opere e autori.
Ebbene,
secondo me non è così. Certo, un editore dovrà continuare a saper fare questo mestiere, ma non è questa la sua essenza: a dimostrarlo ormai c'è - tra gli altri - la faccettina che vedete qui a sinistra, quella di
Amanda Hocking, esordiente sconosciuta, che per gli strani meccanismi della rete che neanche lei si sa spiegare, è diventato un fenomeno, per così dire, non-editoriale: il terzo volume della sua trilogia fantastica,
Ascend, pubblicato nel Kindle Store a 2,99$, ha venduto oltre centomila copie a gennaio, e più di quattrocentomila a febbraio. E Amanda non è che l'epifenomeno di una trasformazione più vasta: un anno fa, a marzo 2010,
nella top-50 degli ebook più venduti su Amazon non c'era neanche un titolo autopubblicato; oggi, a distanza di un anno,
ce ne sono ben 18! Tutto questo non per dire che chi si autopubblica è destinato al successo (1 su 10mila ce la fa), ma per dimostrare (e ci sono molti altri casi) che anche scrittori totalmente sconosciuti riescono in rete a farsi strada. Fissiamo così un altro punto fermo:
l'editore dovrà mantenere e accrescere le sue competenze in termini di promozione di opere e autori, soprattutto aggiornandosi coi meccanismi della rete; ma
neanche su questo può basare il suo futuro, altri (autori, agenzie, soggetti specializzati in comunicazione digitale e di rete) potrebbero spesso fare meglio di lui.
Cosa resta, allora, ad un editore? Qual è davvero l'essenza della sua missione, quel quid che davvero aggiunge valore alla comunità di chi legge e di chi scrive ai tempi della rete?
Facile:
la selezione della qualità. Dove qualità non è certo un termine assoluto, ma relativo, relativo ai criteri di qualità di questo e di quell'editore. Ma è questo l'asset su cui l'editore, più che su ogni altra cosa, dovrebbe investire, proprio perché il self-publishing, lungi dal poterne fare a meno, lo richiederà sempre di più: aumenta il numero e la circolazione di opere autoprodotte, e aumenta di conseguenza il
rumore,
diventano sempre più necessari strumenti di discernimento di ciò che vale da ciò che non vale.